In passato ho fatto due viaggi di cui non ho parlato molto, non perchè non abbia amato quei luoghi anzi, le fotografie che vi mostro in questo post mi riportano ad una terra affascinante ma… è stata la modalità di viaggio che non mi ha entusiasmato, erano viaggi di gruppo “organizzati”, dei tour de force per vedere il più possibile in meno tempo possibile, cosa che tralascia il contatto umano di cui invece sento il bisogno.
Oggi, leggendo un saggio trovato per caso (link di riferimento al fondo della pagina) ho finalmente trovato chiara la motivazione. Provo a spiegarla usando le parole di Franco Cambi, professore ordinario di Pedagogia generale, ora in pensione.
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Il “viaggio” fa parte di un corredo biologico: Partenza, Esplorazione, Incontro, Assimilazione, Rinnovamento.
Muta la mente del viaggiatore.
Alla base della cultura occidentale ci sono tre grandi modelli di viaggio, che ne hanno alimentato l’immaginario e hanno nutrito tutta una complessa visione, di cui è specchio la letteratura:
c’è il viaggio-prova della fiaba
c’è il viaggio eroico di Ulisse
c’è il viaggio espiazione della Bibbia
Certo i viaggi moderni sono viaggi che aprono, che rompono equilibri, che producono disordine benefico ma non sono più viaggi che confermano un’identità (il pellegrinaggio) o viaggi da vivere come colpa e destino (l’esodo) o viaggi come avventura e espiazione (il viaggio eroico).
Non c’è più lo spirito del viaggio, non c’è più lo spazio del viaggiare; non c’è più la tensione della scoperta. Il viaggio si rattrappisce a rito collettivo.
Il carattere del viaggio moderno , legato al suo valore/funzione formativo (di istruzione, di emancipazione, di distacco, di evasione) viene a impallidire fino a spegnersi per dar corpo a una serie di non-viaggi nei quali scompare la “cura di sé” come pure la “passione per l’altro”, contrassegni essenziali della “mente del viaggiatore”.
Il viaggio turistico di massa, con le sue agenzie, con i “pacchetti” pre-confezionati, ha chiuso, forse, l’epoca dei viaggi, per farci entrare in quella dell’uso dello spazio e del tempo con funzione di vacanza e di spostamento, di semplice sottrazione alla monotonia del quotidiano.
Solo attraverso un forte investimento soggettivo il viaggio “resiste”, almeno nella sua struttura. Fuori di questi circuiti di resistenza, il viaggio è “perduto”: nello spirito e nei luoghi.
Possiamo attuare una pedagogia del viaggio, studiando modalità, percorsi, atteggiamenti che accennino almeno, alla costruzione del “senso del viaggio”, elaborando la memoria del viaggiare e ritornando al viaggio come esperienza di formazione.
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dopo questo….vi lascio con una piccola galleria fotografica sul mio viaggio in Giappone dell’aprile 2017, periodo di ciliegi in fiore e di Hanami (花見 “guardare i fiori“), termine che si riferisce alla tradizionale usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi mentre si consuma un sostanzioso picnic all’ombra dei sakura in fiore.
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LINK DI RIFERIMENTO:
Franco Cambi – Il viaggio come esperienza di formazione
http://www.fupress.net/index.php/sf/article/download/11112/10574